Il collasso gravitazionale e le protostelle

Nel 1947, Bok e Reilly presero a studiare alcune nebulose oscure e fredde dal caratteristico aspetto globulare, le cui masse variavano dalle 20 alle 750 volte quella del Sole (masse solari, o M. S.); lo studio dei più massicci di tali oggetti, che vengono oggi chiamati “Globuli di Bok” dal nome del loro principale studioso, permise di osservare Rosetta.jpg (4903 byte)che si trovano tutti in fase di collasso gravitazionale. Nella foto a destra, la “Rosette Nebula“, in cui si trovano molti di questi oggetti, che si vedono come macchie oscure contro i rosso intenso della nebulosa. Le temperature di questi globuli sono bassissime, dell’ordine dei 10°K, il che soddisfa ad una delle condizioni teoriche: infatti, quanto più bassa è la temperatura, e quanto più alta la densità, tanto minore è la massa richiesta perché possa iniziare il processo di contrazione. Per inciso, diremo che è improbabile, se non impossibile, che da una nube possa nascere soltanto una singola stella. Le masse necessarie perché possa aver inizio un collasso gravitazionale sono infatti troppo grandi per pensare che possa nascerne una stella soltanto. Quasi certamente il meccanismo sommariamente descritto dà l’avvio alla formazione di un gran numero di stelle, anche varie centinaia o addirittura, come nel caso di alcuni ammassi globulari, varie centinaia di migliaia. Sorge il problema di come possa frazionarsi la nube, una volta iniziato un collasso più o meno omogeneo; il modello più convincente, ed accreditato da recenti (1995) osservazioni di HST, fa riferimento al cosiddetto fenomeno della Fotoevaporazione (v. M16).

La fase del collasso gravitazionale, dallo stato di globulo di Bok a quello di stella, può durare, a seconda delle masse in gioco, dalle centinaia di migliaia ai milioni di anni; se ne potrebbe dedurre l’impossibilità di osservarne il decorso da parte di esseri limitati nel tempo quali noi siamo; ma quello sterminato laboratorio di ricerca osservativa che è la Galassia (ed oggi anzi, grazie ad HST, non ci fermiamo più soltanto alla nostra Via Lattea) ci offre una quantità di fenomeni da vagliare talmente elevata che tra essi, opportunamente studiati e interpretati, possiamo estrapolare tutte le fasi relative alla nascita delle protostelle, cioè di quegli oggetti che potremmo paragonare ad embrioni di stelle, già capaci di intensa irradiazione, ma la cui fonte di energia è ancora di origine esclusivamente gravitazionale, nei quali cioè non si sono ancora innescate le reazioni termonucleari. Un fenomeno interessante è il cosiddetto “FUOR” (da FU Orionis, che fu il primo oggetto di questa classe ad essere osservato).

Tra il 1936 ed il 1937, nella regione di Orione apparve una stella, fino allora mai osservata, che negli anni seguenti declinò appena di splendore, poi rimase pressoché costante. Senza dubbio si trattava di una variabile, dato che era variata di alcune magnitudini; ma che tipo di variabile, se da anni si manteneva quasi costante? Anni più tardi, essendo notevolmente aumentate le nostre conoscenze sull’evoluzione stellare, fu notato che l’astro si trovava in una zona in cui quasi certamente si formano nuove stelle; oltre a ciò, l’esame del suo spettro ne rilevava significative somiglianze con quelli delle T Tauri, classe di oggetti già classificati come protostelle, e il cui spettro particolare indicava che sono circondati da involucri gassosi (oggi, grazie ad HST, tali involucri si osservano agevolmente nei dettagli). Si ritenne allora di aver assistito alla nascita di una T Tauri, cioè al momento in cui il collasso gravitazionale portava all’accensione di una protostella. Più di recente, intorno al 1970, si verificò un secondo caso, simile a quello di FU Orionis, ma che poté essere studiato molto più dettagliatamente. Una stella della costellazione del Cigno, poi chiamata V 1057 Cygni, aumentò di 250 volte il proprio splendore, variando di ben 6 magnitudini in poco più di un anno. Quando arrivò al culmine, se ne poté osservare uno spettro simile a quello di FU Orionis; ma questa volta si trovò uno spettro della stessa stella ottenuto 12 anni prima, e da quello risultò che V 1057 Cygni era già allora una T Tauri; si trattava dunque non di un fenomeno caratteristico dell’accensione di una protostella, ma di un evento di natura ignota, verificatosi in una protostella già accesa. Ciò è confermato da un terzo caso, osservato nel 1974. Interessante è il fatto che in tutti e tre i casi, contemporaneamente al grande aumento di splendore dell’astro, era apparsa nelle sue vicinanze una piccola nebulosa ad arco, della quale esso non occupava il centro. Questa nebulosa non poteva essere costituita da materiale espulso dall’astro durante l’aumento di splendore osservato, non perché in questa fase non ci fosse espulsione di materia, tutt’altro, ma perché le osservazioni hanno dimostrato che la nebulosa è ferma rispetto alla stella. Inoltre, negli anni successivi, si è visto che, man mano che l’astro diminuisce di splendore, anche la nebulosa svanisce. Ciò significa che la nebulosa preesisteva al fenomeno, ed era apparsa solo perché la stella, aumentando di splendore, era riuscita ad illuminarla. E’ praticamente certo che questa nebulosa si sia formata durante una precedente esplosione, nella quale il gas espulso spazzò via la polvere che si trovava nei dintorni della protostella e costruì l’anello rimasto, centrato nella posizione che essa occupava a quel tempo. E’ dunque probabile che il FUOR sia un fenomeno caratteristico, più volte ricorrente nella vita di una protostella.