Le nebulose diffuse sono nubi di materia interstellare, rarefatti ma estremamente estesi agglomerati di gas e polveri.
Se sufficientemente estese e massive, esse sono frequentemente zone di formazione stellare, generando perciò associazioni o ammassi di stelle.
Alcune delle giovani stelle sono a volte così massive e calde che la loro elevata energia radiativa può eccitare il gas della nebulosa (soprattutto idrogeno) al punto da fargli emettere luce: in tal caso la nebulosa è detta “nebulosa ad emissione“.
Se le stelle non sono abbastanza calde, la loro luce viene semplicemente riflessa o diffusa dalla polvere e può essere vista bianca o azzurrastra come “nebulosa a riflessione“.
Le nebulose oscure, infine, sono nubi di polvere interstellare che, semplicemente, impediscono alla luce delle stelle al di là di esse di giungere fino a noi. Fisicamente non differiscono dalle nebulose a riflessione, appaiono diverse soltanto a causa della posizione relativa di stelle, nebulosa e Terra.
Nebulose ad emissione, a riflessione e oscure si trovano spesso in relazione fra loro (si pensi alla regione di Orione: a sinistra, un’immagine, ripresa dall’O.R.S.A., della nebulosa “Testa di Cavallo“, che si trova accanto a z Orionis).
Le nebulose diffuse, in particolare quelle ad emissione, sono spesso associate ad ammassi stellari che dal loro materiale hanno avuto, e spesso ancora hanno, origine: su questo argomento, vedi sotto M16.
Forse è il caso di spendere ancora qualche parola sui colori delle nebulose: le fotografie ci mostrano infatti imponenti nebulose rosse come M8, appunto, o M17, o la suggestiva “Eagle Nebula” che avvolge l’ammasso galattico M16. E spettrali nebulose azzurre come M78 o NGC1973, 1975 e 1977; ci sono poi altre nebulose in cui il rosso e l’azzurro sono ambedue presenti, come la splendida M20 o M42, la Grande Nebulosa di Orione.
Bene, il diverso colore non dipende da una diversa composizione chimica della nebulosa (questo può avvenire semmai nel caso delle nebulose planetarie o nei resti delle supernovae): nel caso delle nebulose diffuse, l’elemento costitutivo principale è sempre l’idrogeno (almeno per quel che riguarda la componente gassosa; c’è poi la componente costituita dalle polveri, ma questa non emette luce, semmai l’assorbe). Quello che cambia, invece, è il meccanismo grazie al quale viene prodotta la luce che fa splendere la nebulosa e che, nella lastra fotografica, dà luogo ai diversi colori. I meccanismi sono essenzialmente due: il primo dà luogo alle nebulose ad emissione, il secondo a quelle a riflessione.
La nebulosa ad emissione è detta così perché risplende effettivamente di luce propria: quando vediamo il bel rosso di M8, di M17 (a destra) o della porzione meridionale di M20 (in alto sotto il titolo), quella è luce “prodotta” effettivamente dalla nebulosa. Poiché però, ovviamente, una nebulosa non ha in sé alcuna fonte di energia, è evidente che l’energia responsabile di tale emissione di luce deve venire dal suo esterno. Ed è sempre una stella (molto più spesso molte stelle, dato che quasi sempre queste nebulose si accompagnano a giovani ammassi galattici) giovane e calda ad agire con le sue radiazioni più energetiche (soprattutto UV) sugli atomi di idrogeno della nebulosa, che, una volta eccitati, restituiscono parte dell’energia assorbita sotto forma di radiazione che, nella parte visibile del suo spettro, ha la lunghezza d’onda che corrisponde, appunto, a quel caratteristico rosso.
Del tutto diverso è il fenomeno che dà luogo alle nebulose azzurre. In quel caso, la radiazione delle stelle responsabili della luce di cui vediamo splendere le nebulose stesse non è sufficiente ad eccitare gli atomi di idrogeno di queste, ma soltanto ad illuminarle. E in questo caso il fenomeno in gioco, più di quello della riflessione, come avviene per i pianeti, è quello della diffusione: lo stesso grazie al quale il nostro cielo è azzurro. Ogni atomo e ogni particella di polvere della nebulosa, infatti, è un centro di diffusione. La luce che colpisce tali particelle viene in parte diffusa e in parte trasmessa, cioè prosegue lungo la stessa direzione di incidenza. Lo spettro della luce visibile che incide sulla particella si estende da poco più di 4000 Å per il violetto a circa 7300 Å per il rosso, così che il rapporto tra le lunghezze d’onda delle due estremità è circa 1,8. Poiché l’efficienza del processo di diffusione è proporzionale alla quarta potenza di tale rapporto, se ne ricava che nella luce diffusa dagli atomi e dalle particelle la componente blu è quasi dieci volte più intensa rispetto al rosso che nella luce bianca proveniente direttamente anche da una stella come il Sole.