Un fenomeno cosmico piuttosto raro che potrebbe contribuire alla soluzione di alcuni problemi tuttora aperti sulla struttura dell’Universo.
Lo Hubble Space Telescope ha scoperto nel 1995 un esempio veramente spettacolare di lente gravitazionale nel gruppo di galassie Abell 2218. L’ammasso, straordinariamente compatto e massiccio, deflette la luce che lo attraversa trasformando le immagini delle galassie più lontane in archi luminosi: ne sono stati contati fino a 120. Le galassie deformate che formano gli archi sono da cinque a dieci volte più lontane del gruppo galattico che deforma l’immagine.
Il fenomeno succintamente descritto è tra i più stimolanti nel quadro degli attuali tentativi di penetrare i remoti segreti dell’Universo. Ragion per cui cercheremo di spiegare, sia pur superficialmente, cosa si intenda per “lente gravitazionale” e quale interesse rivesta questa classe di oggetti per l’astrofisica e la cosmologia.
Cos’è una lente? tralasciamo le definizioni più o meno magniloquenti: alla fin fine, non è che un pezzo di vetro, o altro materiale trasparente, che si distingue da un altro (ad esempio una lastra) in quanto capace di trasformare un fascio di raggi di luce paralleli in uno convergente o, a seconda che sia convesso o concavo, divergente. Dunque, ciò che caratterizza la lente è la sua capacità di alterare il percorso dei raggi (il fatto che anche il prisma alteri tale percorso non è in contraddizione, ma dobbiamo evitare, per ragioni di spazio, di addentrarci nelle paludi dell’ottica geometrica).
Analogamente, per lente gravitazionale si intende un corpo celeste caratterizzato dalla peculiarità di alterare il percorso della luce che lo attraversa grazie alla curvatura dello spazio che la sua massa produce. Si tratta, è di tutta evidenza, di un fenomeno prospettico dovuto al fatto che, rispetto a noi osservatori, due o più oggetti posti a distanze diverse dalla Terra si trovino allineati lungo un’identica linea di mira e quindi occupino la stessa posizione sulla volta celeste. La luce dell’oggetto più lontano viene deviata dal campo gravitazionale di quello in primo piano, dando luogo ad un’immagine distorta o multipla dell’oggetto sullo sfondo. Ma è proprio certo che sia la gravità a causare il fenomeno osservato?
Già Newton si era posto il problema dell’effetto della gravità su un raggio di luce; ma probabilmente intuì che l’argomento rischiava di incrinare, se non addirittura distruggere, la perfetta compiutezza del suo splendido edificio, e lo lasciò al primo posto delle questioni irrisolte nel suo trattato di ottica del 1704.
La questione fu affrontata e risolta da Einstein con la teoria della relatività generale, e provata empiricamente con l’esperimento di Eddington del 1919. Lo spazio tiranno impedisce di addentrarci nel racconto dettagliato dell’esperimento stesso, consistito appunto nella verifica degli effetti di deflessione della luce da parte del campo gravitazionale del Sole previsti dalla teoria di Einstein. Durante le eclissi sono visibili le stelle anche in prossimità del Sole, essendo questo occultato dal disco della Luna. In quel caso (eccezionalmente favorevole trovandosi il Sole in prossimità dell’ammasso delle Iadi), fotografando l’eclisse e misurando le posizioni delle stelle vicine al disco del sole oscurato, si sarebbe potuto controllare se esse risultassero o meno spostate, e se lo spostamento variasse in funzione della distanza prospettica dal Sole.
L’esperimento dette ragione alla teoria della relatività: il Sole deflette la luce che ne attraversa il campo gravitazionale, e lo fa nella misura prevista dalla teoria.
Quanto vale per il Sole va esteso agli altri oggetti celesti: Einstein fu il primo a valutare l’effetto gravitazionale da parte di una stella sui raggi di un’altra più lontana e posta sulla stessa linea di mira. Egli concluse correttamente che si sarebbe formato un anello luminoso (anello di Einstein). Ma essendo l’effetto troppo debole per essere rilevato, per lungo tempo il problema è stato accantonato. Immagini multiple di oggetti celesti e anelli o frammenti di anello (archi) sono stati invece fotografati nel caso di lenti gravitazionali costituite da galassie o ammassi di galassie. Una volta stabilita la natura gravitazionale del fenomeno ottico, resta da capire se esso abbia qualche applicazione o se rimanga una semplice curiosità scientifica.
Le informazioni che si spera di ricavare dallo studio del fenomeno si dividono in tre categorie:
a) innanzi tutto, una lente gravitazionale può fungere da telescopio naturale di dimensioni cosmiche: può ingrandire l’immagine della sorgente rivelandone particolari che diversamente risulterebbero troppo piccoli per poter essere discriminati. E’ il caso del sistema 2016+112, un quasar anomalo che, senza l’effetto-telescopio di una lente gravitazionale, risulterebbe troppo debole per essere osservato;
b) in secondo luogo, le osservazioni potrebbero permettere di stabilire dimensioni ed età dell’universo per via diretta: ad esempio, con la misurazione di sfasamenti nell’eventuale osservazione di un brillamento nelle immagini di un remoto quasar sdoppiate da una lente gravitazionale;
c) infine, le lenti gravitazionali sono soprattutto adatte alla soluzione dei problemi legati allo studio della materia oscura dell’universo; e ciò perchè, essendo appunto oscura, essa può essere rilevata solo per via indiretta: o perchè si frappone tra noi e un campo stellare (il che vale quasi esclusivamente per le nubi oscure galattiche) o tramite i suoi effetti gravitazionali: donde il legame immediato con gli studi sulle lenti.
E ancora, l’osservazione di questi fenomeni potrebbe permettere anche una misurazione indipendente delle masse galattiche e potrebbe facilitare lo studio della struttura spaziale del mezzo intergalattico. Un effetto di ingrandimento dovuto alla focalizzazione gravitazionale potrebbe spiegare perchè presso galassie con un piccolo redshift si scopre un numero più alto del previsto di quasar con un grande redshift: magari, la galassia aumenta la luminosità dell’immagine del quasar lontano, rendendolo più facile da osservare.
Ma queste prospettive, per quanto interessanti, sono attualmente al di là della nostra portata: non disponiamo, infatti, di un campione statisticamente significativo di tali fenomeni. La ricerca sistematica di lenti gravitazionali è ancora agli inizi, ed ogni nuovo fenomeno scoperto è prezioso. In modo particolare lo è, senza dubbio, il sistema recentemente scoperto da Hubble, più precisamente dalla Wide Field Planetary Camera 2, installata sul telescopio spaziale dagli astronauti. Con essa è stato possibile osservare oggetti molte volte più deboli rispetto a quelli visibili con i telescopi terrestri.